Fratture da fragilità, linee guida Iss su integrazione di calcio e vitamina D

01 Dicembre 2021

L’Istituto superiore di sanità ha pubblicato recentemente le linee guida dal titolo “Diagnosi, stratificazione del rischio e continuità assistenziale delle fratture da fragilità”, sviluppate in collaborazione con l’Università Bicocca di Milano. Dal documento, emergono alcuni dati di grande interesse circa l’integrazione con calcio e vitamina D.

Così, tra l’altro si legge: “La carenza di vitamina D risulta essere un fattore di rischio ben stabilito per le cadute e le fratture tra gli over-65 anni e il solo supplemento di calcio non è risultato efficace nel ridurre il rischio di frattura. L’European consensus group raccomanda un adeguato apporto di vitamina D e calcio in combinazione: rispettivamente, 800 IU/die e 1.000 mg/die. Anche l'Aifa raccomanda l'integrazione di vitamina D nei pazienti a rischio di frattura da fragilità o con pregressa frattura da fragilità o prima o in corso di trattamento con farmaci anti-osteoporotici”.

Gli integratori di vitamina D sono stati a lungo raccomandati per le persone anziane al fine di trattare o prevenire l’osteoporosi in quanto precedenti studi suggerivano benefici per la struttura muscoloscheletrica, incluso l'aumento della Body mass density (Bmd) e la prevenzione di cadute e fratture.

“Tuttavia – prosegue il documento - il ruolo dell’integrazione con vitamina D e calcio nei pazienti senza attuale carenza di questi elementi non è chiaro. Dosi sopra fisiologiche di vitamina D non hanno dimostrato di portare a benefici aggiuntivi, sebbene siano raramente associate a effetti collaterali”.

Secondo le nuove linee guida, alla luce delle più recenti metanalisi la vitamina D è raccomandata in tutti i soggetti carenti, indipendentemente dall’età o dal rischio fratturativo. È raccomandabile, inoltre, che i pazienti più anziani e a maggior rischio di fratture assumano almeno 800-1.000 UI di vitamina D al giorno, senza bisogno di ricorrere alla preventiva determinazione della 25-OH-vitamina D ematica.

Il colecalciferolo (vitamina D3) “è la forma più comune per l’integrazione della vitamina D. È stato recentemente pubblicato uno studio di farmacocinetica che ha dimostrato che l’assunzione di colecalciferolo a dosi adeguate, specie se giornaliere ma anche settimanali, porta a una correzione dell’ipovitaminosi in tempi brevissimi. Talvolta, in alcune condizioni, come il malassorbimento intestinale, la grave insufficienza epatica, l’uso di farmaci interferenti con l’attività 25-idrossilasica epatica o l’insufficienza renale, può essere preferibile somministrare il calcidiolo”.

L’utilizzo di altre forme attiva di vitamina D, quali, per esempio, il calcitriolo, va, invece, riservato a casi specifici, come una grave insufficienza renale per la compromissione dell’1alfa-idrossilazione renale, poiché “non è mai stata dimostrata l’efficacia anti-fratturativa né quella sul Bmd rispetto al colecalciferolo.  Le forme attive sono, inoltre, gravate da maggiori rischi, tra cui ipercalcemia e nefrocalcinosi, se utilizzate a dosi terapeutiche efficaci”.

Infine “tutti i pazienti affetti da insufficienza renale o epatica andrebbero repleti anche con colecalciferolo in aggiunta agli altri analoghi idrossilati poiché questi organi hanno una ampia riserva funzionale e non si possono escludere alcuni effetti extra-scheletrici autocrini e paracrini esclusivi del colecalciferolo”. (n.m.)

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