Gli Autori hanno esaminato l'interazione tra dieta, popolazione microbica intestinale e marker infiammatori in 1.425 soggetti divisi in quattro gruppi: persone con malattie infiammatorie intestinali (morbo di Crohn o colite ulcerosa); con sindrome dell'intestino irritabile o sane.
Ciascun partecipante ha fornito un campione di feci per l’analisi dei gruppi microbici e di eventuali marker infiammatori come la calprotectina fecale, nonché compilato un questionario sulle abitudini alimentari, sia qualitative che quantitative. Le tipologie di alimenti sono state aggregate in 25 gruppi.
“I nostri risultati evidenziano come i cibi trasformati e quelli di origine animale siano sempre associati ad abbondante presenza a livello intestinale di specie batteriche opportunistiche, in particolare appartenenti a generi quali Clostridium, Ruminococcus, Blautia e Firmicutes, a loro volta associati a elevati indici di marker infiammatori quali, per esempio, la calprotectina fecale. Il consumo di proteine di origine vegetale sembra invece favorire vie metaboliche a carattere antinfiammatorio, grazie all’abbondante presenza di generi quali Bifidobacterium e Lactobacillus, a discapito di Bacteroides e Clostridium. Il consumo di noci, pesce azzurro, frutta, verdura e cereali si lega a una maggiore abbondanza di batteri produttori di acidi grassi a catena corta, in grado di controllare l'infiammazione e proteggere l'integrità della barriera intestinale. Lo stesso consumo di vino rosso ha evidenziato questa peculiarità, probabilmente per la presenza di polifenoli, visto che, in generale, alcol e superalcolici hanno mostrato effetti opposti. Positivo l’impatto del caffè sulla presenza di specie ad azione antinfiammatoria, così come i prodotti fermentati del latte, legati ad abbondanza di Bifidobacterium, Lactobacillus ed Enterococcus sp. Cibi da fast food, dalla carne processata alle patatine fritte, dalla maionese alle bevande analcoliche zuccherate, presentavano una stretta correlazione con specie ostili quali Clostridium bolteae, Coprobacillus e Lachnospiraceae”.
Uno degli aspetti più interessanti è che le osservazioni sono risultate sovrapponibili tra i quattro gruppi di partecipanti coinvolti, senza distinzioni tra soggetti più o meno a rischio, segno che un cambiamento delle abitudini alimentari può incidere su diversi fronti nell’ambito delle malattie infiammatorie.
Tra i limiti riconosciuti dello studio, il fatto che, trattandosi di modello osservazionale, non è possibile trarre conclusioni di causa/effetto ma, a detta degli Autori vi è la certezza che “da tali risultati si possano derivare modelli dietetici correlati a popolazioni microbiche intestinali in grado di proteggere la mucosa e favorire effetti antinfiammatori. Il fatto, poi, che tale azione si sia verificata in tutti e quattro i gruppi, evidenzia la potenzialità di estendere le conclusioni anche ad altri quadri clinici in cui l'infiammazione gioca un ruolo chiave”.
Nicola Miglino