Malattie infiammatorie intestinali, Bmj: occhio al cibo ultra-processato

21 Luglio 2021

Il consumo eccessivo di cibo ultra-processato comporta un elevato rischio di sviluppare una malattia infiammatoria cronica intestinale (Ibd). Questi i risultati di uno studio da poco pubblicato sul British medical journal.

L’Ibd è una patologia in forte crescita nei paesi industrializzati e si pensa che i fattori dietetici possano svolgere un ruolo determinante nell’eziopatogenesi, ma i dati a disposizione per confermare tale supposizione sono ancora limitati, soprattutto per ciò che concerne i cibi ultralavorati, spesso contenenti alti livelli di zuccheri, grassi e sale aggiunti, ma privi di vitamine e fibre.

Ecco così che un team internazionale di ricercatori ha preso in esame i dati delle abitudini alimentari di 116.087 adulti di età compresa tra 35 e 70 anni, afferenti allo studio Pure (Prospective urban rural epidemiology) residenti in 21 paesi a basso, medio e alto reddito.

Il Pure è un progetto di ricerca volto a indagare l'impatto di alcuni determinanti sociali sulle malattie croniche in diversi paesi del mondo. I partecipanti sono stati arruolati tra il 2003 e il 2016 e valutati almeno ogni tre anni. In un follow-up medio di 9,7 anni, 467 di loro hanno sviluppato Ibd (90 casi di Crohn e 377 di colite ulcerosa).

A quel punto, si è cercato di comprendere quali fattori fossero correlati al rischio, rilevando uno stretto legame con il consumo di cibi ultra-processati.

Per esempio, il consumo di cinque o più porzioni al giorno o da una a quattro comportava rispettivamente un aumento del rischio dell’82 e del 67% rispetto a chi consumava meno di una porzione giornaliera. Nello specifico, poi, il pericolo è risultato maggiore con il consumo di bevande zuccherate, alimenti arricchiti di zuccheri raffinati, snack salati e carne lavorata. Al contrario, il consumo di carne bianca, rossa, latticini, alimenti amidacei, frutta, verdura e legumi non è risultato correlato a comparsa di Ibd.

Un risultato valido sia per il Crohn che per la colite ulcerosa, confermato, nella popolazione studiata, sia per età che per distribuzione geografica.

I ricercatori riconoscono, tra i limiti dello studio, il carattere osservazionale che non consente conclusioni definitive su una correlazione causa/effetto e il fatto che i dati si sono basati su diagnosi auto-riferite e non hanno tenuto conto di eventuali cambiamenti della dieta nel corso del tempo.

Tuttavia, sottolineano la solidità della metodologia e la robustezza di evidenze a supporto dell'ipotesi che l'assunzione di alimenti ultra-elaborati possa essere un fattore ambientale che aumenta il rischio di Ibd.

Così concludono: “Poiché non è emersa un’evidenza sulla correlazione tra comparsa di Ibd e consumo di carne bianca, rossa non trasformata, latticini, alimenti amidacei, frutta, verdura e legumi, i dati suggerirebbero che il rischio potrebbe essere correlato più alla lavorazione che al cibo in sé. Sono pertanto necessari ulteriori studi per identificare specifici elementi all’interno degli alimenti trasformati potenzialmente responsabili di quanto osservato nella nostra ricerca”.

Nicola Miglino

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