L’influenza della dieta riveste un interesse significativo e la ricerca emergente indica che alcuni interventi specifici potrebbero apportare benefici nella gestione dei sintomi, nel miglioramento della salute generale e, potenzialmente, nel rallentamento della progressione della malattia. Esistono infatti oggi già diversi protocolli dietetici specifici: dieta chetogenica, diete a eliminazione paleolitica modificata (Wahls) e a basso contenuto di grassi saturi (Swank), dieta mediterranea e il digiuno intermittente.
Due approcci dietetici supportati da prove preliminari sono la dieta a basso contenuto di grassi saturi sviluppata dal Dr. Swank e la dieta paleolitica modificata sviluppata dal Dr. Wahls.
Nel 2020, 95 partecipanti sono stati arruolati nel periodo di run-in di 12 settimane e hanno seguito uno di questi due protocolli: entrambe le diete, Wahls e Swank, sono state associate a riduzioni significative dell’affaticamento e miglioramenti della qualità di vita. È stata osservata un’elevata aderenza alla dieta in entrambi i gruppi alla 12a e alla 24a settimana, dimostrando che questi approcci possono essere adottati con il supporto iniziale del professionista e poi mantenuti indipendentemente.
Il digiuno intermittente è cresciuto in popolarità grazie a studi preliminari che spaziano da modelli animali a sperimentazioni umane, suggerendo il suo potenziale ruolo nell’alleviamento dei sintomi e nella modulazione del decorso della malattia. Risale al 2016 un lavoro fondamentale che, utilizzando l'encefalomielite autoimmune sperimentale per valutare le implicazioni dei protocolli di intermiting fasting sulla progressione della malattia, ha rivelato una diminuzione della secrezione delle citochine infiammatorie Ifn-γ e Tnf-α, in concomitanza con un aumento del mediatore antinfiammatorio Il-10.
Nel 2018 uno studio ha evidenziato gli effetti trasformativi del digiuno intermittente sui parametri metabolici e sulla composizione del microbiota intestinale. La ricerca ha documentato un aumento della diversità microbica e un cambiamento nella flora intestinale dopo un regime dietetico di 15 giorni, deducendo un potenziale impatto terapeutico sulle condizioni autoimmuni attraverso la modulazione della salute dell’intestino. Questa connessione è particolarmente significativa considerando le crescenti prove che correlano la salute intestinale con i disturbi autoimmuni. In un'indagine parallela, hanno dimostrato che i protocolli di digiuno vanno oltre i semplici benefici di gestione del peso per le persone con sclerosi multipla, favorendo potenzialmente miglioramenti nella salute emotiva. Successive indagini hanno indicato che la restrizione calorica intermittente influenza distintamente le popolazioni di cellule T, suggerendo un ruolo nella regolazione della risposta immunitaria.
Le diete chetogeniche sono diete che inducono la chetosi biologica, imitando di fatto uno stato di digiuno nutrizionale, e che apportano benefici alla malattia neuroinfiammatoria fornendo una fonte di energia più efficiente (cioè gli acidi grassi), diminuendo il danno ossidativo associato allo stress metabolico, aumentando le vie di biogenesi mitocondriale e riducendo la produzione di citochine proinfiammatorie.
Nel 2020, il primo studio randomizzato e controllato che le ha valutate in termini di effetti terapeutici e progressione della malattia. Nello specifico, 111 pazienti con malattia recidivante-remittente con terapia immunomodulante stabile o nessuna terapia modificante la malattia sono stati randomizzati a uno dei tre interventi dietetici di 18 mesi: una dieta con un apporto limitato di carboidrati di 20-40 g/giorno; una con un digiuno di 7 giorni ogni 6 mesi e un digiuno intermittente quotidiano di 14 ore nel mezzo; e una dieta modificata per i grassi. Risultati significativi per i primi due gruppi, tenendo conto che la misura dell'outcome primario era il numero di nuove lesioni dopo 18 mesi e che gli endpoint secondari erano la sicurezza, i cambiamenti nel tasso di recidiva, la progressione della disabilità, l’affaticamento, la depressione, le funzioni cognitive, la qualità della vita, i cambiamenti del microbioma intestinale nonché i marcatori di infiammazione, stress ossidativo e autofagia. Si tratta di un intervento dietetico ben tollerato nei pazienti con sclerosi multipla recidivante che porta alla perdita di peso, alla riduzione dell’affaticamento e della depressione e al miglioramento della qualità della vita. Di contro, l’aderenza alla dieta da parte del paziente è un punto importante di riflessione, così come vanno tenuti presente i rischi teorici legati all’adozione a lungo termine di una chetogenica non monitorata che includono dislipidemia, nefrolitiasi e carenze vitaminiche/minerali.
Silvia Ambrogio
Bibliografia
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