Prof. Poli, ci illustra, innanzitutto, il sistema di classificazione Nova per gli alimenti?
Il sistema Nova, creato e attivamente promosso da un gruppo brasiliano guidato da Carlos Monteiro, è basato esclusivamente sul livello di processazione degli alimenti: in altre parole, su quanto gli alimenti stessi siano stati trattati prima di essere consumati. L’idea di base è che gli alimenti, nella loro forma naturale, siano ottimali e che ogni intervento di trasformazione ne comprometta il valore nutrizionale e li renda potenzialmente pericolosi. Questo vale soprattutto per gli elementi del quarto gruppo, definiti ultra-processati. Il sistema Nova classifica gli alimenti in quattro gruppi: nel primo si trovano i cibi che vengono in genere consumati come tali, ovvero frutta, verdura, uova, latte, carni fresche. Nel secondo, gli ingredienti utilizzati per la preparazione e il condimento dei cibi, come l’olio, il burro, lo zucchero o il sale. Il terzo gruppo, i cosiddetti alimenti processati, comprende alimenti combinati con ingredienti del secondo gruppo o sottoposti a lavorazioni semplici. Come nel caso, per esempio, di pane, pasta, formaggi, conserve vegetali. Il quarto gruppo comprende gli alimenti definiti ultraprocessati. Si tratta di un gruppo molto eterogeneo, che contiene praticamente tutti gli alimenti di origine industriale: snack, dolciumi, bevande zuccherate, derivati della carne, alimenti contenenti in generale additivi o conservanti, piatti pronti. Vale la pena di sottolineare che la composizione degli alimenti, cioè il contenuto in grassi, zuccheri, proteine e così via è, invece, totalmente irrilevante ai fini della classificazione nel sistema Nova.
Quali sono le criticità di questa classificazione che emergono dal vostro lavoro?
Sono numerose. La classificazione in sé è assai ambigua e mal definita, ed è cambiata più volte nel tempo. Non è facile, spesso, decidere se un alimento appartiene al terzo o al quarto gruppo. In queste condizioni, anche fare ricerca sull’argomento è tutt’altro che banale. Praticamente tutti gli alimenti industriali, inoltre, sono classificati nel gruppo ultra-processato, da evitare perché ricchi di grassi con effetti sfavorevoli, zuccheri, sale: cosa ben poco comprensibile se si considera che i principi della nutrizione classica, come si ricordava, sono completamente trascurati dalla classificazione Nova. Infatti, la carne, ma anche il burro, possono essere consumati sostanzialmente senza limitazioni. Curiosamente, poi, la stessa trasformazione degli alimenti, comprese l’aggiunta e miscelazione degli ingredienti e la cottura, fatta nella cucina di casa o invece in ambito industriale, ha effetti diversi sulla loro classificazione: le preparazioni casalinghe non sono mai definite ultra-processate, mentre i trattamenti industriali sono invece tutti considerati negativi. Una conoscenza approfondita di questi ultimi, invece, porta a concludere che i loro effetti non sono per nulla generalizzabili e che ogni tecnica va valutata con competenza e conoscenza, senza pregiudizi.
Come incidono i processi di trasformazione degli alimenti sulle proprietà nutrizionali?
In modo molto vario. Alcuni sono estremamente rispettosi della composizione nutrizionale degli alimenti, altri li impoveriscono, per esempio dei composti termolabili, come alcune vitamine. Altri ancora modificano in modo importante la composizione e la struttura degli alimenti, talvolta producendo composti potenzialmente pericolosi o, al contrario, facilitano una sorta di predigestione degli alimenti, aumentando l’accessibilità e la biodisponibilità di alcuni nutrienti interessanti. Alcune recentissime tecniche di estrusione, all’opposto, possono influenzare la digeribilità degli amidi riducendo l’indice glicemico degli alimenti che li contengono. Quasi tutti i trattamenti industriali migliorano poi il gusto e il sapore degli alimenti: cosa di per sé naturalmente apprezzabile, ma che può anche facilitare il consumo di quelli con favorevoli effetti di salute ma poco gradevoli nella loro forma “naturale”. Non è quindi la processazione in quanto tale ad avere effetti sfavorevoli, ma, tutt’al più, le conseguenze di alcune singole procedure, specie se non ben controllate. La produzione di acrilamide, che ha luogo durante la cottura ad alta temperatura di alimenti che contengono sia carboidrati e sia l’aminoacido asparagina, può essere maggiore nel forno o nella friggitrice di casa, dove la temperatura e i tempi di cottura spesso non sono ben controllati, che in un ambito industriale, dove tutti questi parametri sono invece soggetti a un controllo rigoroso. In sintesi, è del tutto impossibile generalizzare e gli effetti di ogni tecnica di trattamento degli alimenti vanno valutati individualmente, sia per quanto concerne il rispetto della struttura e della composizione dell’alimento stesso e sia della possibile formazione di composti indesiderati e sia, ancora, dell’impatto complessivo sugli effetti di salute di un alimento. Senza contare, poi, che le evidenze più solide confermano l’importanza per la salute della qualità complessiva della dieta, composta da una molteplicità di alimenti, con relative quantità e frequenze di consumo: tutti aspetti all’ottimizzazione dei quali la classificazione Nova non fornisce alcun aiuto.
Che conclusioni trarre, dunque, sui rischi per la salute degli alimenti ultra-processati?
Ogni generalizzazione è probabilmente priva di significato: che alcuni alimenti ultra-processati, specie se consumati in eccesso, siano associati a effetti di salute non favorevoli è certamente possibile, così come è possibile per alcuni alimenti naturali o preparati nella cucina di casa, ma immaginare che tutti lo siano, per il fatto di essere processati, indipendentemente dalle caratteristiche nutrizionali, non è logico. È una evidente sovrasemplificazione e, come tutte le sovrasemplificazioni, contiene un elevato margine di errore. È vero che in alcuni studi pubblicati, di carattere epidemiologico, un alto consumo di questi alimenti si associa a effetti di salute negativi, ma la struttura di questi studi è talora fragile, ed è probabile che un alto contenuto di questi alimenti nella dieta sia in realtà piuttosto un segnalatore indiretto di una cattiva qualità della dieta stessa più che una vera causa di patologie. A conferma di questa interpretazione, esaminata in dettaglio nel nostro articolo, sta il fatto che, alle differenze nel consumo degli alimenti ultra-processati tra i vari Paesi del mondo non corrispondono differenze nello stato di salute generale della popolazione. In Gran Bretagna si stima per esempio che fino al 60% degli alimenti consumati siano ultra-processati, mentre in Italia lo è in media meno del 20%. La salute generale della popolazione del nostro Paese, però, non è migliore di quella dei britannici: le malattie cardiovascolari e la mortalità correlata, per esempio, sono ormai meno frequenti in Gran Bretagna che in Italia. Come al solito, non si può che concludere che è necessario continuare e approfondire la ricerca nel settore.
Nicola Miglino