D.ssa Rossi, da quali premesse nasce l’idea del vostro studio?
La prima è che si è notato che i fattori associati a insorgenza del tumore colon retto, in particolare la dieta, influenzano anche la composizione del microbiota intestinale. In più, vi sono evidenze del fatto che processi infiammatori possano portare a una perdita della funzione di barriera epiteliale con conseguente maggiore permeabilità dei tessuti e traslocazione batterica dal tratto gastrointestinale al flusso sanguigno. Da qui, l’ipotesi che ci possa essere materiale batterico nel sangue maggiore in chi presenta un adenoma o un tumore del colon retto, correlato anche alle abitudini alimentari.
Che tipo di analisi avete condotto?
Si tratta di uno studio caso controllo, con una raccolta dati effettuata presso gli ospedali Niguarda e Policlinico di Milano. Abbiamo analizzato 100 casi istologicamente confermati di ca colon retto. Per ogni caso, un doppio controllo: 100 soggetti con adenoma e 100 sani. In totale, dunque, 300 persone coinvolte, alle quali, prima della colonscopia, è stato somministrato un questionario alimentare ed è stato effettuato un prelievo di sangue. Dal sangue abbiamo estratto del Dna con sequenziamento del gene 16 s rRna, tecnica tipica per individuare sia il carico batterico che la tassonomia dei vari ceppi. Il sospetto era che eventuale materiale batterico potesse derivare dal tratto intestinale, proprio per la perdita di impermeabilità dei tessuti dovuta a infiammazione o presenza tumore. Abbiamo, inoltre, focalizzato l’attenzione sul consumo di flavonoidi, noti per le proprietà antiossidanti e oncoprotettive, facendo ricorso a un questionario di frequenza di consumo alimentare che include circa 85 items di ricette e cibi, correlando le porzioni dichiarate con il contenuto in nutrienti, grazie a banche dati gestite in collaborazione con l’Università di Udine.
Quali evidenze sono emerse dall’analisi dei dati?
Tra le varie tipologie di flavonoidi, flavanoni e antocianidine si sono dimostrati associati a riduzione di rischio del tumore del colon retto, rispettivamente, dell’82 e del 76% per il terzile di consumo più alto rispetto a quello più basso. Abbiamo, poi, messo in relazione il loro consumo con il microbiota attraverso l’esame del Dna batterico del sangue, riscontrando correlazioni inverse con la presenza di ceppi quali Flavobacterium e Legionella.
Quali conclusioni se ne possono trarre?
I nostri risultati supportano evidenze già riscontrate sull’effetto protettivo di antocianidine e flavanoni della dieta sul tumore colon retto. La correlazione con il Dna batterico nel sangue fa, inoltre, pensare che il consumo di questi antiossidanti possa influenzare o la permeabilità intestinale o direttamente la flora intestinale stessa.
Quali scenari di aprono e quali i filoni di ricerca più promettenti da indagare?
Ora cercheremo, insieme a colleghi dell’Università di Bologna, di analizzare gli stessi campioni di sangue stoccati con una tecnica ancora più potente, detta shotgun, in grado di sequenziare tutto il Dna genomico e non solo l’rRna 16 s. L’obiettivo è verificare se si trattava di batteri, piuttosto che funghi o virus, se non, addirittura, di artefatti o chimere il che, comunque, rappresenterebbe un’interessante evidenza: avere o meno presenza di batteri vivi nel sangue cambia completamente lo scenario, sia da un punto di vista diagnostico, per l’identificazione di potenziali marker tumorali, ma anche per lo studio dei meccanismi alla base della cancerogenesi.
Nicola Miglino