Quali sono oggi i numeri della malattia?
Vecchi: Nel mondo, la sua prevalenza si aggira tra lo 0,5 e l'1,5% della popolazione. I più colpiti sono i bambini tra i 4 e gli 8 anni e gli adulti tra i 25 e i 35 anni. In età pediatrica si parla soltanto di circa il 30% di casi, mentre il restante 70% si manifesta in età adulta. Una malattia, infine, che colpisce prevalentemente il sesso femminile, con un rapporto 3:1, ma le ragioni alla base di questi picchi sono al momento ancora sconosciute.
Com’è mutato il quadro nel tempo?
Elli: Negli ultimi trent'anni i numeri di questa malattia autoimmune sono spaventosamente cambiati, passando da un caso su duemila a uno su 150. Le ragioni sono principalmente due. In primis oggi è molto più semplice diagnosticare la celiachia, facendo facilmente emergere il sommerso. In secondo luogo, esiste una tendenza reale all'aumento di questa patologia dovuto a molteplici cause, molte ancora da dimostrare. Per esempio, il cambiamento nella coltivazione degli alimenti, molto più intensiva e fertilizzata, lo stile di vita e l'uso di antibiotici anche in età pediatrica.
Qual è la stima del sommerso?
Vecchi: In Italia abbiamo 600 mila casi evidenziati dagli screening, pazienti in cospicuo aumento e sommerso in costante impennata. Sono infatti oltre 400 mila i pazienti che oggi rappresentano la porzione nascosta di questa malattia autoimmune accesa dal glutine e segnata da difficoltà diagnostiche. Un quadro che la scienza sta modificando, sia per la definizione precoce della patologia, sia per il controllo della stessa. Assistiamo a una forte spinta scientifica che sta radicalmente cambiando sia la fase diagnostica che di controllo di questo tipo di patologie. Da qui, l’intensa richiesta di aggiornamenti tecnici: serve più conoscenza e un approccio multidisciplinare per gestire al meglio la malattia nella quotidianità clinica.
Quali sono le difficoltà diagnostiche?
Vecchi: La malattia celiaca può essere contraddistinta da paradigmi aspecifici e asintomatici. Da qui, il problema delle diagnosi sfuggenti. Alle prime avvisaglie sospette, come diarrea persistente e gonfiori addominali costanti, anemia e difficoltà di assorbimento delle vitamine, ci si dovrebbe sottoporre al test. La celiachia è forse l’unica malattia che, attraverso dei marcatori sierologici, ci permette di arrivare a una diagnosi certa al 99%. La lotta al sommerso parte proprio da qui, dall’aderenza al test. In particolare, per tutti quei soggetti geneticamente predisposti.
La malattia può essere monitorata?
Elli: Che l’aderenza alla dieta priva di glutine rappresenti un ostacolo nella gestione della malattia da parte del paziente è ben concepibile. Tant’è che, fino a oggi, ha rappresentato uno scoglio anche per i clinici. Ora però gli specialisti hanno a disposizione un nuovo strumento: un test che è in grado di indicare il livello di detezione del peptide del glutine nelle urine e nelle feci dei pazienti. Uno strumento che permette il monitoraggio reale e costante della malattia, apportando laddove necessario le giuste correzioni.
Esistono novità terapeutiche?
Vecchi: Dalla celiachia non si guarisce, ma ci si può convivere bene. Se l’unica terapia disponibile è ancora la dieta libera da glutine, sono in corso ricerche che mirano ad alleggerire il peso di una quotidianità alimentare rigida e con un aggravio economico rilevante. Oggi si sta infatti tentando di modificare la risposta immune dei pazienti e di manipolare il glutine assunto. E a breve arriveranno in tal senso sperimentazioni cliniche sull’uomo. Un panorama in continua evoluzione che richiede aggiornamenti continui.
In che direzione sta andando la ricerca?
Elli: Durante l'ultimo congresso internazionale a Parigi dello scorso settembre, è stato annunciata l'interruzione della ricerca sul vaccino: l'idea di sconfiggere ed eradicare definitivamente la malattia è quindi tramontata. La tendenza che probabilmente potrà verificarsi, invece, si riferisce a una terapia sempre più personalizzata in favore dei pazienti. Questi potranno reintegrare nella loro dieta alcuni alimenti con glutine. Nei prossimi anni, infine, arriveranno anche delle molecole che aiuteranno il paziente a convivere con la malattia.
Impera la cultura del “senza” e molti, inopinatamente, evitano il glutine. Che senso ha?
Vecchi: Per ogni italiano che soffre di celiachia certificata ce ne sono almeno 30 che consumano alimenti privi di glutine pur senza averne bisogno, con un possibile rischio per la salute e una spesa inutile pari, secondo le ultime stime, a 105 milioni di euro all’anno. Le cosiddette intolleranze che seguono le mode non sono scientificamente provate. E si rischia la confusione. Ci si deve invece concentrare su chi, pur non presentando marcatori genetici e sierologici attinenti la celiachia, sta male se assume cibi con glutine. Si tratta di disturbi glutine correlati dove il limite tra psicologico e organico può essere davvero molto sottile e difficile da individuare. Un campo, compreso quello che mette in relazione l’alterazione del microbiota intestinale con l’insorgenza della celiachia, ancora tutto da esplorare e che merita più attenzione.
Nicola Miglino