A descriverci lo studio, Paola Iaccarino Idelson, del dipartimento di Medicina clinica e chirurgia alla Federico II di Napoli, nonché prima firma della ricerca.
D.ssa Iaccarino, quali sono le premesse da cui è partito lo studio?
L'Organizzazione mondiale della sanità ci raccomanda di consumare al massimo 5 grammi di sale al giorno quando, invece, il consumo degli italiani è di circa 12-13, ovvero più del doppio. Diminuire il consumo di sale serve ad abbassare la pressione arteriosa e quindi a ridurre l'incidenza dell'ipertensione e, di conseguenza, il carico sociale ed economico delle malattie cardiovascolari, portando a meno morti per queste cause. La riduzione del sale implica un cambiamento di abitudini alimentari degli individui e anche delle industrie alimentari, e sappiamo quanto è difficile far avvenire questi cambiamenti.
Che obiettivi avevate con la vostra ricerca?
L’intento generale è quello di trovare delle metodologie per pianificare campagne efficaci per indurre a cambiare comportamento nei riguardi del sale. Per arrivare a questo, bisogna prima fare un'esplorazione su cosa sanno gli Italiani riguardo l'importanza della riduzione del sale e su come e se la mettono in atto. Ho l'onore di lavorare nel gruppo di ricerca di Pasquale Strazzullo, docente di Medicina interna all'Università di Napoli, creatore del Centro di eccellenza per l'ipertensione arteriosa, nonché presidente della Sinu, la Società italiana nutrizione umana. Ed è proprio la Sinu ad aver messo appunto un questionario sulla conoscenza e il comportamento riguardo il consumo di sale. Il questionario si trova online sul sito www.sinu.it: chiunque può rispondere e avere anche un feedback di valutazione sulle proprie abitudini.
Che tipo di analisi è stata condotta?
Il questionario è stato sviluppato da un gruppo di esperti, poi internamente validato e, in seguito, lo si è pubblicato on-line e somministrato a un totale di 11.618 persone nell'arco di circa un anno e mezzo. Le risposte sono state analizzate statisticamente, valutando il grado di conoscenza delle persone e i loro comportamenti riguardo il consumo di sale. Inoltre, è stato valutato anche il grado di aderenza delle persone alla dieta mediterranea che, per le sue proprietà, è una dieta povera in sale o sicuramente meno ricca di quella che è chiamata la "Western Diet". Queste variabili sono state messe in correlazione con età, genere, stato socioeconomico e livello di istruzione delle persone.
Quali sono stati i risultati?
Abbiamo osservato che il livello di conoscenza degli italiani rispetto all'importanza della riduzione del sale è discreto, ma non corrisponde a un adeguato consumo effettivo, che invece è ancora troppo elevato. Le categorie a cui bisogna indirizzare in maniera specifica campagne di informazione efficaci sono gli adolescenti e le persone con un grado più basso di istruzione; entrambe, infatti, avevano un minor livello di conoscenza e un comportamento meno adeguato. Ulteriore risultato è che il livello di conoscenza era direttamente correlato con il comportamento, dimostrando quanto, effettivamente, l'informazione sia il primo passo per il cambiamento di un comportamento, in questo caso la riduzione di sale.
Quali conclusioni si possono trarre?
È molto importante ridurre il consumo di sale non solo dalle nostre tavole, ma anche nei prodotti confezionati o in quelli artigianali, ma di cui non abbiamo il controllo: mi riferisco in primis al pane, che è un alimento che per il consumo che ne facciamo è una grande fonte di sale. Di ciò non c'è abbastanza consapevolezza. Per arrivare a questo bisogna che ci sia uno sforzo da parte di tutti: consumatori, industrie, lobby, governi. E anche la scienza deve fare la sua la sua parte. Ci è sembrato doveroso dare un contributo nel capire come pianificare campagne educative efficaci e a quali fasce di popolazione debbano essere indirizzate.
Nicola Miglino