Un team, guidato da Yan Ning e Zhou Kang del dipartimento di Ingegneria chimica e biomolecolare dell’Università di Singapore, ha, infatti, ideato un metodo per trasformare i gusci di aragoste, gamberi e granchi (tecnicamente definiti carapaci) in L-Dopa, farmaco impiegato nella cura del morbo di Parkinson e, dall’altra, un altro per convertire i residui del legno in prolina, essenziale per la formazione di collagene e cartilagine.
Si calcola che l'industria di trasformazione alimentare generi ogni anno fino a otto milioni di tonnellate di gusci di crostacei “di scarto”. Allo stesso tempo, Singapore, per citare un esempio, solo nel 2019 ha prodotto 438 mila tonnellate di rifiuti del legno, da rami di alberi potati a segatura nell’industria.
I ricercatori della Nus hanno ideato una procedura che abbina due processi: in prima battuta, con un metodo chimico, si converte il prodotto di scarto in una sostanza digeribile che, in una seconda fase, viene trasformata in aminoacidi da batteri ingegnerizzati.
È noto che la L-dopa viene prodotta dalla L-tirosina, a sua volta ottenuta dalla fermentazione degli zuccheri. Con l'approccio sviluppato dal team della Nus, i rifiuti dei crostacei vengono prima trattati chimicamente per poi far produrre L-Dopa dai batteri, con una resa simile a quella ottenuta con il metodo tradizionale a base di zuccheri e un considerevolissimo risparmio: rispetto al glucosio, lo zucchero più comune utilizzato, che costa tra i 400 e i 600 dollari a tonnellata, gli scarti dei gamberetti ne costano solo 100.
La prolina, dal canto suo, viene normalmente prodotta attraverso processi biologici puri. Il team della Nus ha invece convertito il tutto in metodo prevalentemente chimico, realizzando un approccio integrato che aumenta la produttività, accelera i tempi di realizzo e riduce i costi operativi.
La ricerca sulla produzione di L-Dopa dai gusci dei crostacei è stata pubblicata lo scorso marzo su Proceedings of the national academy of sciences (Pnas) mentre il lavoro sulla produzione di prolina dai residui del legno lo scorso luglio su Angewandte Chemie.
"I processi chimici sono rapidi e possono utilizzare condizioni estreme come alte temperature o grandi pressioni per disintegrare diversi materiali di scarto, non contenendo organismi viventi. Il risultato, però, è la produzione di sostanze semplici. Di contro, i processi biologici sono molto più lenti e richiedono condizioni molto specifiche perché i microorganismi prosperino, ma il risultato finale è la generazione di sostanze molto più complesse. Solo la combinazione di entrambi consente di ottenere materiali a valore aggiunto", sottolineano gli Autori.
Il metodo messo a punto dal team della Nus sembra essere adattabile ad altri materiali di scarto, e già si pensa di testarlo su Co2 e carta, abbattendo il ricorso a fonti non rinnovabili per la produzione di sostanze chimiche utili all’industria del farmaco e degli integratori.
Nicola Miglino