Così si è pronunciata lo scorso novembre la Corte di Cassazione Sezione VI Penale (sentenza 51946) che ribadisce come, alla luce della normativa attuale, gli integratori siano prodotti alimentari “destinati ad integrare la comune dieta e costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare, ma non in via esclusiva, aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale, sia monocomposti che pluricomposti, in forme predosate".
Come tali:
- a) non possono vantare proprietà terapeutiche, né capacità di prevenzione e cura di malattie (etichettatura, presentazione e pubblicità);
- b) sono soggetti alle norme in materia di sicurezza alimentare.
Dunque, un integratore non è un farmaco, non una specialità medicinale e non può essere considerato un prodotto ad uso farmaceutico, per cui nella fattispecie non è contestabile il reato di comparaggio.
Naturalmente ciò non toglie che determinate condotte possano essere rilevanti sotto altri profili (anche penali), diversi dal reato di comparaggio, tanto che lo stesso imprenditore è stato condannato per corruzione propria, commessa (nel caso in esame) con una serie di iniziative illecite finalizzate a favorire la prescrizione del parafarmaco: dazione di buoni carburanti a due Mmg; organizzazione di cene elettorali in favore di un altro medico candidato alle elezioni comunali, oltre all’assunzione di sua moglie; corresponsione di somme di denaro a un primario di pediatria e assunzione del di lui figlio come informatore farmaceutico e, infine, corresponsione di denaro (circa 1.500 euro) a un medico di base.