Dr. Fiorani, dove nasce la questione dell’identità dell’integratore alimentare?
Il riconoscimento formale dell’integratore alimentare a livello europeo è del 2002 con la direttiva comunitaria 46 che qualifica le differenze dell’integratore rispetto all'alimento delineando una categoria diversa dall'alimento corrente e funzionale. L’integratore infatti è un alimento in forma concentrata che svolge una funzione fisiologica e che si presenta come un medicinale. Si distingue dal medicinale per la destinazione, ovvero la popolazione sana, e per la finalità d’uso, cioè il mantenimento del benessere o la riduzione di un fattore di rischio per la salute.
Si tratta dunque di una nuova entità che gli attuali schemi normativi non riescono a esprimere e regolare compiutamente determinando incongruenze che devono stimolare un dibattito pragmatico, non ideologico, per realizzare soluzioni concrete a livello istituzionale.
Oggi l’industria dell’integratore alimentare è in grado di offrire soluzioni adeguate e in linea con le aspettative del nuovo consumatore, ma per poter esprimere il suo potenziale ha necessità di regole coerenti, di competizione trasparente e di una chiara prospettiva su cui orientare i propri investimenti.
A quali incongruenze si riferisce?
Mi riferisco, per esempio alla direttiva sui farmaci vegetali tradizionali del 2004, i cosiddetti Traditional herbal medicinal products (Thmp) e al regolamento sugli health claim alimentari del 2006, la Nutritional health claims regulation (Nhcr). Non possono non stupire i rispettivi criteri adottati nella validazione dell’efficacia: uso tradizionale per i farmaci e studi clinici di livello farmaceutico per gli alimenti. L’uso consolidato per 15 anni come criterio accettato per la dimostrazione dell’efficacia di una indicazione farmaceutica da una parte e la richiesta di studi clinici di grado farmaceutico per provare l’effetto fisiologico di una sostanza alimentare su individui clinicamente sani dall’altra.
Quali sono ad oggi le questioni aperte sugli health claim ?
Nel 2012, a sei anni dalla sua pubblicazione il regolamento ha autorizzato su base bibliografica una short list di health claim collegati quasi esclusivamente a vitamine e minerali e oggi, a quasi 14 anni la stragrande maggioranza di quelli esaminati da Efsa riguardanti botanical, probiotici e diverse altre sostanze è ancora in “stand by” per l’impraticabilità dei criteri prescritti dal regolamento e, nella realtà, si è così rivelato impossibile registrarne di nuovi.
Quali sono a suo giudizio le maggiori criticità su questo fronte?
L’applicazione del regolamento Nhc ha mancato praticamente tutti gli obiettivi, peraltro condivisibili, che si proponeva. Pensiamo alla trasparenza verso il consumatore: il regolamento Nhc consente l’applicazione dell’health claim agli alimenti indipendentemente dal razionale formulativo e dal loro contenuto nutrizionale. Avremo quindi, per esempio, prodotti da forno che dichiarano di “mantenere i fisiologici livelli di colesterolo nel sangue” e promettono il “benessere cardiovascolare” pur contenendo elevate percentuali di zuccheri semplici e grassi saturi, che alle “condizioni d’uso” della sostanza collegata al claim stabilite da Efsa corrispondono a diverse decine di grammi di zuccheri e grassi saturi al giorno.
Sul fronte, poi, della libera circolazione dei prodotti in Europa, non essendo uniformata la lista di sostanze ufficialmente utilizzabili né quella dei relativi claims, l’Ue rimane tuttora una specie di puzzle per quanto riguarda le regole di immissione in commercio. Una formulazione che adotta sostanze diverse da vitamine e minerali e i relativi claims ammessi in Italia non potrà, in generale, essere esportata tal quale nella maggior parte degli altri paesi europei a dispetto anche delle norme sul mutuo riconoscimento.
Infine, gli stimoli alla ricerca e allo sviluppo di prodotto e tecnologico: non avendo altra possibilità che quella di applicare un claim già presente nell’elenco allegato al regolamento l’eventuale contenuto distintivo di R&S del prodotto difficilmente potrà essere valorizzato presso il consumatore. Chi realizza un preciso razionale formulativo, sviluppa e produce secondo gli standards più elevati, attua accurati controlli delle materie prime e realizza studi di efficacia si trova a competere con altri produttori che, considerando la qualità un costo da minimizzare, hanno semplicemente ‘messo insieme’ sostanze ammesse dotate di health claim. È evidente che il regolamento non favorisce investimenti in R&S e innovazione che creano valore reale per il consumatore.
Quale percorso, allora, per l’integratore alimentare?
Aiutare l’integratore alimentare a trovare la propria identità regolatoria rispetto all'alimento e al farmaco è un servizio che il decisore politico deve svolgere rispetto alla collettività i cui bisogni e atteggiamenti rispetto alla salute sono evoluti e sostanzialmente cambiati e che richiede di conseguenza di dotarsi di nuovi strumenti. Gli assi su cui costruire questa identità sono i fattori distintivi dell’integratore rispetto all'alimento, che nel contesto alimentare possano caratterizzarlo, e siano quindi specifici e dedicati rispetto al ruolo riconosciuto per la salute del consumatore: criteri di razionale formulazione in relazione all'obiettivo del prodotto, criteri e metodi di sviluppo, di produzione e analitici, criteri di definizione dell’efficacia proporzionali all'obiettivo del prodotto, accettazione di rapporto efficacia/sicurezza proporzionale all'obiettivo del prodotto, criteri sorveglianza post marketing e codici univoci di identificazione merceologica e doganale. Tutto ciò è già pubblicato nei diversi Position paper che la nostra associazione promuove come standard di riferimento per una coerente evoluzione del settore industriale.
Nicola Miglino