La ricerca è stata condotta dalla National and Kapodistrian university di Atene, su circa mille greci di età media pari a 73 anni, senza diagnosi di demenza alla partenza.
A inizio studio, attraverso un questionario sulle abitudini alimentari, i ricercatori hanno valutato in ciascun partecipante le proporzioni giornaliere assunte di frutta, verdura, legumi, carne e pesce, insieme al consumo di alcol, tè e caffè.
Hanno poi attribuito un punteggio al “carico infiammatorio” della dieta di ognuno, sulla base del quale i partecipanti sono stati suddivisi in tre gruppi: carico alto, medio e basso.
Dopo tre anni, si è andati a verificare l’incidenza di demenza, che ha colpito il 6% dei partecipanti (n=62), incrociando i dati con il tipo di dieta seguita.
Ogni punto in più nella scala di indice infiammatorio correlato alla dieta segnava un aumento del rischio di demenza del 26%. Prendendo i due estremi della classifica, il gruppo a più basso consumo di alimenti antinfiammatori aveva un rischio tre volte più alto di quelli a consumo massimo.
Per precisione, “a carico antinfiammatorio elevato” si classificava chi, mediamente, consumava 20 porzioni di frutta, 19 di verdura, 4 di legumi e 11 di tè e caffè a settimana.
“I nostri risultati aggiungono un tassello in più nel caratterizzare e misurare il potenziale infiammatorio delle diete di ciascuno di noi”, commenta Nikolaos Scarmeas, ricercatore alla National and Kapodistrian University e coordinatore della ricerca. “Le conseguenze potrebbero essere quelle di fornire raccomandazioni dietetiche in grado di proteggere la nostra salute cognitiva. Certo, lo studio è di tipo osservazionale, non clinico e, di per sé, non prova che seguire una dieta antinfiammatoria possa prevenire l'invecchiamento cerebrale e la demenza. Mostra solo una correlazione. Altro limite è la breve durata del follow-up. L’auspicio, dunque, è che si possano avviare trial clinici di lungo periodo in grado di confermare questi risultati”.
Nicola Miglino