La ricerca ha preso in esame i dati di circa 12 mila cinesi (41 anni di età in media, 47% maschi) che avevano partecipato ad almeno due cicli su sette del China health and nutrition survey, un ampio studio osservazionale condotto tra il 1997 al 2015. Gli arruolati, ogni 2-4 anni venivano intervistati sulle loro abitudini alimentari e i dati sono stati utilizzati per definire un punteggio che classificava la varietà delle otto fonti proteiche dichiarate: cereali integrali, cereali raffinati, carne rossa trasformata e non, pollame, pesce, uova e legumi. A ogni fonte veniva attribuito un punto, con un massimo, ovviamente, di otto, per poi andare a verificare la correlazione con l’insorgenza di ipertensione. Il tempo medio di follow-up è stato di 6 anni.
Dai risultati emerge che poco più del 35% dei partecipanti ha sviluppato ipertensione durante il follow-up. Quelli con un punteggio di varietà proteica più alto (4 o superiore) avevano un rischio inferiore del 66% di sviluppare ipertensione rispetto a punteggi sotto il 2. Per ciascuna delle otto fonti è stata identificata una soglia di consumo che si potrebbe definire di sicurezza: al di sotto, il rischio di ipertensione si abbassava. Guardando, invece, la quantità totale di proteine consumate, i ricercatori hanno identificato cinque gruppi, da quella più bassa alla più alta. Le persone a maggior rischio sono risultate quelle ai due estremi, ovvero chi ne consumava di meno e chi di più.
Pur riconoscendo i limiti di uno studio osservazionale, la ricerca, a detta degli Autori, sembrerebbe sottolineare l’importanza di una dieta equilibrata con proteine provenienti da diverse fonti nel prevenire l’ipertensione, “una strategia sicuramente più efficace rispetto all’utilizzo di una singola fonte”.
Nicola Miglino